Riattribuzione
Alcuni
pazienti si prendono su di sè tutta la responsabilità degli
eventi accaduti e di specifici errori o disgrazie che si sono
verificate nella loro vita, altri invece non si curano affatto
di analizzare la minima possibilità che in qualche circostanza
possano aver giocato fortemente in senso causale sulle sorti
di un qualche accadimento. Questa differenza tra le varie
persone è dovuto alla differenza dello stile di attribuzione
delle cause degli eventi, processo molto noto e molto
importante nell’esame dei processi di ragionamento e di
assunzione di responsabilità.
Alcuni
pazienti si lamentano profondamente sentendosi colpevoli di
eventi apparentemente lontani e distanti da essi (senza un
apparente legame causale ad occhio esterno), altri si
lamentano per aver subito danni per colpa di altri, o per
“colpa” del caso, senza alcuna attribuzione di propria
responsabilità.
In questi
casi il terapista può aiutare il paziente a distribuire la
responsabilità in modo ragionevole tra le relative parti in
gioco. C’è da rilevare che, se il terapista prende una parte
di troppo supporto il paziente può classificarlo come un amico
o familiare che comunque, come tutti gli altri non può
essergli di aiuto perché “non può capirlo in ciò che prova”,
se invece il terapista tende a caricare troppo i paziente di
responsabilità egli si potrà sentire attaccato o criticato
troppo duramente e con ciò abbandonare il rapporto
terapeutico, agire contro il terapista, commettere un atto di
protesta, o agire contro sè stesso sentendosi senza speranza.
Il terapista
può agire invece prendendo un posizione mediana aiutando il
paziente a riattribuirsi le proprie responsabilità
ragionevolmente senza prendersi tutte le critiche o le
lamentele da parte di altri o da sè stesso.
Il concetto
chiave che può essere spesso riaffermato è che il soggetto è
responsabile sia delle proprie attività mentali (desideri,
credenze, scelte, errori, ...) sia delle proprie emozioni,
come anche della propria condotta.
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