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Reazioni emotive

 

E’ utile e pratico dividere i C emotivi in 2 elementi: l’intensità dell’emozione (quantità), ed il tipo di emozione (qualità). I soggetti rispondono emotivamente a eventi di vita negativi ma spesso non hanno bisogno di un aiuto professionale psicologico o psichiatrico per le proprie reazioni emotive, in quanto essi possono cercare una ampia gamma di modalità di fronteggiare e risolvere i problemi quotidiani e gli eventi negativi. I soggetti, invece, cercano un aiuto professionale psicoterapico quando le proprie reazioni emotive costituiscono uno stress di proporzioni elevate. Questa è la prima dimensione nella valutazione dei C emotivi, che il terapista deve stabilire.

In sostanza, il terapista deve stabilire dove si colloca l’esperienza emotiva del paziente su una scala (ad esempio, soggettiva) di intensità; ad esempio, distinguere se il soggetto invece che depresso è triste, se è preoccupato invece che allarmato o spaventato, se sia seccato piuttosto che arrabbiato.

Alcune volte è utile costruire una scala a 10 punti, in cui lo 0 è il punto neutrale, privo di valore emotivo, mentre il 10 è il punto più intenso che il paziente può immaginare. Quindi, il terapista ha bisogno di avere tali informazioni prima di decidere se il paziente ha bisogno, in realtà. Di un trattamento psicologico o psichiatrico, o più semplicemente di un supporto, o di un consiglio; e l’andamento dello stato del paziente e le convinzioni correlate. Questo punto è essenziale per una psicoterapia efficace, e per considerarla con successo, perché il terapista deve poter identificare una intensa emozione per poter collegare tale stato ad un B importante; il paziente che è soltanto preoccupato nel C difficilmente avrà un B con una inferenza catastrofica ma probabilmente starà pensando in un qualche modo realistico ad un certo A.

Naturalmente, questo non significa accettare semplicemente le parole del paziente che può riferire che si sente soltanto preoccupato o solo triste.

Infatti, molti pazienti possono essere particolarmente inibiti rispetto al comunicare emozioni intense, oppure sono semplicemente non coscienti essendo stati molti anni abituati ad evitare l’espressione di tali stati, oppure possono essere carenti di una certa abilità introspettiva ed auto-osservativa, quindi il terapista deve osservare e verificare attentamente la presenza di tali emozioni intense. Ciò richiede una buona abilità di colloquio psicologico e counseling, ed in tali situazioni, il terapista può tranquillizzare e rassicurare il soggetto in modo tale che egli possa sentirsi più sicuro di poter esplorare i propri sentimenti negativi. Se questo non è possibile, si può utilizzare l’osservazione dei segnali fisiologici, non verbali; a volte, il soggetto non descrive una intensa emozione ma descrive la fisiologia, ad esempio: “non mi sento ansioso, è soltanto il mio cuore che batte improvvisamente forte”. Altre volte l’emozione viene espressa all’esterno anche se il paziente non descrive nulla che possa riferirsi a questi tipi di segni ma in qualche modo tali segni fisiologici sono osservati. Questo può aiutare il terapista ad intraprendere una ipotesi relativa ad una certa emozione. Se, ad esempio, un paziente è attualmente non in grado di percepire una attivazione emotiva allora può essere utile un esercizio di base, derivato dalla Terapia Gestalt, per allenarsi alla auto-osservazione che può gradualmente aumentare il livello di consapevolezza (Norcross, Goldfried, 1992). Altri soggetti hanno il problema contrario; piuttosto che reprimere le proprie emozioni sono invece ipersensibili alla attivazione emotiva. I soggetti possono variare nella soglia di tolleranza, nella attivazione delle reazioni emotive, al punto che alcuni pazienti possono avere una soglia molto bassa e reagire rapidamente ed improvvisamente a piccoli stimoli “avversivi”, ad esempio un soggetto può reagire in modo arrabbiato ad un lieve inconveniente, o avere una reazione di panico ad una piccola sensazione somatica; nella RET (ora REBT) si usa il concetto di “bassa tolleranza alla frustrazione”.

Il secondo obiettivo del terapista, nella valutazione dei C emotivi, è quello di stabilire il tipo di emozione che il paziente sta’ sperimentando, che è attivato. Spesso il soggetto non può esprimere il tipo di emozione, non ha un lessico adeguato, può fare confusione rispetto alla tipologia emotiva; ad esempio, un paziente può dire che è “un po giù” piuttosto che dire che è depresso, oppure si sente colpevole invece di dire che ha vergogna, ecc...

Una buona regola è quella di aiutare il soggetto ad acquisire un minimo di lessico, suggerendo almeno 3 emozioni di base come ansia, rabbia e depressione, e spiegare che ci sono delle differenziazioni più sottili, degli aspetti particolari, ad esempio la colpa, la depressione, l’imbarazzo, la vergogna, l’invidia, la gelosia, e così via. Il terapista, solitamente, spinge il soggetto ad inquadrare le emozioni come emozioni primarie, perché è più semplice, ma può naturalmente utilizzare una ampia gamma del lessico emotivo per differenziare i diversi scopi implicati nelle diverse etichette emotive, se questo è possibile. Negli ABC è più semplice identificare i C emotivi in quanto le altre informazioni rendono più comprensibili gli scopi del soggetto e le intenzioni implicate.

 

Direttore:   Dott. Pierpaolo Casto    - Psicologo -    Via Mazzini, 76   73042  CASARANO  (Le)   Tel.   328. 9197451

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