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Psicoanalisi

Psicoanalisi, termine coniato nel XX secolo unendo le parole psico e analisi (sul modello tedesco di psychoanalyse), definisce una particolare teoria psicologica che propone un modello di funzionamento della mente e dei processi psichici dell'uomo da un punto di vista dinamico, con particolare enfasi sull'inconscio, i sogni e la sessualità infantile; è usato anche per indicare il metodo terapeutico che in quella teoria ha le sue basi, appunto il metodo psicoanalitico. Fondatore di questa disciplina è stato Sigmund Freud.

 

La psicoanalisi si pone come scopo precipuo quello di individuare le cause delle nevrosi non in rapporto a specifici fatti traumatici accaduti in un passato più o meno remoto, ma in funzione di una possibile e complessiva distorsione della personalità conseguente ad un disarmonico sviluppo dell'istinto. Oltre che un metodo di cura, la psicoanalisi è anche una metapsicologia, ovvero una teoria del funzionamento della mente umana.

 

Sotto diversi aspetti la psicoanalisi - che nel corso del XX secolo si è sviluppata e modificata con il contributo di studiosi di diversa nazionalità - ha molto contribuito, assieme alla filosofia moderna, alla formazione del pensiero dell'uomo, analizzandone i sogni, gli istinti e le pulsioni sessuali, le modalità relazionali come i lapsus e gli atti mancati.

 

Poiché studia il contenuto conscio ed inconscio dei pensieri dell'essere umano, e il rapporto che esso ha con l'immaginazione e la creatività fantastica, la psicoanalisi può confinare - nell'immaginario collettivo - con un certo tipo di magia di influenzamento, che in terminologia scientifica si chiama fantasia di onnipotenza.

 

Indice

1 Gli inizi della psicoanalisi

2 La tecnica psicoanalitica

3 Critiche alla psicoanalisi

3.1 Il dibattito sull'efficacia terapeutica

3.2 Critiche recenti alla psicoanalisi

4 Note

5 Bibliografia

6 Voci correlate

7 Collegamenti esterni

 

 

 

-Gli inizi della psicoanalisi

 Per approfondire, vedi la voce Storia della psicoanalisi.

 

Poche altre imprese culturali hanno avuto la stessa straordinaria fortuna della psicoanalisi. A seguito dell'opera di Sigmund Freud, nella cultura occidentale si è diffusa per la prima volta la teoria che spiega, attraverso l’interpretazione di osservazioni non sistematiche e argomentazioni pseudo-scientifiche, le zone più recondite dell'animo umano. Freud privilegiò come terreno d'indagine quelle che apparivano come le componenti più irrazionali della personalità umana: i lapsus e gli atti mancati, il sogno e sintomi vari di natura psichiatrica. Fu lui ad attribuirne l’origine nei ricordi dell'infanzia e soprattutto in un oscuro “serbatoio degli istinti” che chiamò ”inconscio”, una parte di mente presente nel soggetto, al di fuori della sua mente cosciente.

 

La nuova “scienza” nacque alla fine del XIX secolo con lo scopo di spiegare e curare particolari disturbi nevrotici, come i disturbi isterici, di cui la medicina dell’epoca stava cercando una causa obiettivamente dimostrabile nell’ambito della neurologia nonché terapie efficaci. Di fronte al sostanziale fallimento anche della psicoanalisi come terapia, Freud sviluppò la teoria delle “resistenze”, ridefinendo sistematicamente come tali le contestazioni che la persona (paziente o allievo) opponeva alle sue interpretazioni. L’accettazione da parte del soggetto delle interpretazioni freudiane veniva quindi considerata un passaggio dei contenuti inconsci alla coscienza.

 

Si concentrò verso manifestazioni trascurate fino ad allora come le molteplici attività mentali fuori della norma (lapsus, amnesie) e i sogni, che erano state fino allora considerate marginali "distrazioni" o forme di indebolimento dell'attività della coscienza o forme di psicopatologia (comportamenti ossessivi, fobie, etc.) fino ad allora non bene inquadrate.

 

Secondo Freud, partendo dallo studio di simili manifestazioni, sarebbe stato possibile portare alla luce i meccanismi operanti nell’”inconscio”, che immaginava come fonte di forze o impulsi ad agire, che la coscienza avrebbe dovuto tenere a bada perché disdicevoli o socialmente inammissibili, così come una società si difende dai suoi elementi devianti. Secondo Freud, i vari comportamenti nevrotici erano spiegabili da questa “repressione” o “rimozione” degli impulsi istintivi.

 

Il presupposto di base consisteva nell’assunto che esistono leggi che governano la vita interiore e che queste sarebbero diverse da quelle della vita esteriore, cosa che permetteva di definire un campo di indagine autonomo dalle altre scienze, chiamato da Freud “psicologia del profondo”. Ciò esentava la psicoanalisi dal sottoporsi ai metodi di indagine e di verifica richiesti nelle scienze, come ad esempio nella psicologia.

 

Precisamente queste leggi sono tre:

 

l'esistenza dell'”inconscio”

La cui presenza si presumeva scientificamente dimostrata dal tentativo stesso di dare una spiegazione univoca sia a sintomi nevrotici, sia agli atti sintomatici e i lapsus.

l’esistenza di una energia psichica o “libido”

 

Originatasi nell’”inconscio”, vi sarebbe una energia di natura prevalentemente sessuale che tenderebbe ad avere una via di uscita attraverso una varietà di comportamenti, quali ad esempio i sintomi nevrotici,

il determinismo psichico o principio di causalità

 

Nella mente, al contrario che nella natura fisica, nulla avverrebbe per caso ma ogni rappresentazione mentale sarebbe concatenata e dipendente dalla precedente.

Seguendo questa strada, Sigmund Freud e sua figlia Anna Freud indagarono su fenomeni psichici apparentemente contraddittori, quali ad esempio le risposte a conflitti tra motivazioni opposte, gli auto-inganni o i falsi moralismi, interpretandoli come “meccanismi di difesa”. Ad esempio, l'uomo che nega a sé stesso certe rappresentazioni mentali disturbanti, mentendo a sé stesso sulla loro presenza, lo farebbe per ottenere il vantaggio di non provare dolore. Oppure, atteggiamenti moralistici, interpretati come l’effetto di un senso di colpa per azioni riprovevoli o della trasformazione delle pulsioni sessuali represse o deviate dal loro obiettivo naturale.

 

In questo modo, comportamenti apparentemente giustificati o anche ammirevoli appaiono in realtà derivanti da motivazioni poco lusinghiere o inconfessabili, soprattutto di natura sessuale.

 

Nell’esplorare la vita psichica dei pazienti e nel condurre le sue “terapie”, talvolta molto energiche e direttive, Freud si accorse ben presto che i pazienti sviluppavano talvolta nei suoi confronti reazioni molto emotive, positive o negative, come odio o innamoramento. Ne concluse, in accordo con la sua ipotesi dell’origine infantile delle nevrosi, che si trattava di un trasferimento verso la sua persona di atteggiamenti affettivi, ovvero nel suo lessico di cariche “libidiche”, che i soggetti stessi avevano provato nell’infanzia verso i propri genitori.

 

Credette quindi che si trattasse di un nuovo fenomeno, ovviamente inconscio, che chiamò “transfert”, ed arrivò a teorizzare che non vi potesse essere guarigione se questo non fosse “superato”, cioè se il paziente non accettasse l’interpretazione dell’analista di tali reazioni emozionali. La “teoria del transfert” divenne quindi uno dei capisaldi della costruzione teorica della psicoanalisi.

 

Le teorie di Freud suscitarono scandalo negli ambienti più conservatori della borghesia austriaca, nei primi anni del 1900, soprattutto in rapporto alle formulazioni sulla sessualità infantile, che era considerata da Freud la base dell'intera vita psichica. Dai colleghi dell'Università Freud era già stato fortemente criticato per certe sue conclusioni affrettate tratte da precedenti studi sulla cocaina, di cui pare sia stato un assiduo consumatore. Dopo l'esposizione delle teorie psicoanalitiche, fu quasi del tutto ignorato negli ambienti accademici.

 

Freud dovette andarsene dal reparto ospedaliero di Neurologia dove lavorava e fu costretto all'attività privata, in cui ebbe successo. Critici e detrattori successivi di Freud, che ebbero sempre meno fortuna di lui, furono spesso accusati, talvolta giustamente, di antisemitismo.

 

La psicoanalisi ebbe ben presto dei seguaci, riuscendo Freud a farla accettare (ma al di fuori della medicina ufficiale) come tecnica terapeutica per un certo tipo di malattie psichiatriche come le nevrosi, che non avevano ancora trovato terapie efficaci. Così intorno a Freud, nella città di Vienna, si andò formando il primo gruppo di allievi; questo permise a Freud di fondare nel 1910 l'International Psychoanalytical Association definendo così i criteri di formazione dei futuri analisti basati sull'analisi personale, le supervisioni, i corsi clinico-teorici. In quel periodo si vennero formando le prime società psicoanalitiche che aderiranno all'I.P.A.

 

Questo insegnamento iniziò attraverso regole che Freud codificò ben presto; sono regole che comportano un particolare stato di soggezione del candidato “psicoanalista”; questi doveva ed ancora oggi deve sottoporsi allo stesso trattamento che riserverà ai futuri pazienti. Tale relazione rendeva e rende possibile un vero e proprio indottrinamento da parte dell'analista.

 

Così la psicoanalisi, assumendo vari indirizzi e applicata ad ambiti diversi da quello originario, divenne ben presto una ideologia, cioè una concezione generale della natura umana e dei suoi rapporti con il mondo (Weltanschauung), in cui l’uomo viene visto come “agito” da forze oscure, inconfessabili o autodistruttive (come l’”istinto di morte”) su cui non ha sostanzialmente alcun controllo consapevole. Dopo l’immane disastro provocato dalla prima Guerra Mondiale, ma in una epoca in cui c’era ancora grande fiducia nella scienza, il clima era probabilmente favorevole ad accettare tale visione della natura umana.

 

I principali nomi da ricordare fra i primi analisti sono Otto Rank, Karl Abraham, Max Eitingon, Ernest Jones, Sandor Ferenczi e Hans Sachs. Un posto particolare spetta alla variante della Psicologia analitica, di Carl Gustav Jung, psichiatra svizzero, il cui interesse si incentrò sullo studio dei modelli (o schemi mentali) impersonali e collettivi, che presumeva operassero anch’essi nell'inconscio, modelli che chiamerà "archetipi". Qui Jung credette di trovare la chiave per un'interpretazione sociale di particolari fenomeni psicologici, come l'”identificazione con un modello archetipico” che il bambino opererebbe nel giocare, o di fenomeni culturali, religiosi ed artistici che Jung vede come espressioni di “modelli archetipici”, presenti in una particolare raccolta mentale chiamata “inconscio collettivo”.

 

La psicoanalisi influenzò molti scrittori e pensatori del ‘900 come Italo Svevo, James Joyce, George Groddeck, Bertrand Russell ed Herbert Marcuse; inoltre, molti intellettuali si sottoposero all’analisi, contribuendo ad aumentarne il credito e quindi a diffonderla.

 

La psicoanalisi entrerà in Italia passando da Trieste dove Edoardo Weiss, analizzato da Federn, allievo di Freud, diede impulso decisivo alla Società Psicoanalitica Italiana che era stata fondata a Teramo nel 1925 da Marco Levi Bianchini, libero Docente presso l'Università di Napoli, Direttore dell'Ospedale Psichiatrico di Teramo. Nel 1932 la S.P.I. fu trasferita a Roma e riorganizzata da Weiss che, nello stesso anno fondava la Rivista di Psicoanalisi, che è tuttora l'organo ufficiale della S.P.I. In quel periodo spiccavano le figure di Cesare Musatti, Nicola Perrotti, Emilio Servadio e Alessandra Tomasi di Palma che contribuiranno, anche in seguito, alla divulgazione e al progresso clinico-teorico della psicoanalisi in Italia e all' estero.

 

Nel corso del secolo, soprattutto nel secondo dopoguerra ed anche per influenza dello sviluppo delle scienze umane, come la psicologia sociale, la psicoanalisi dei successori (“neofreudiana”) si è progressivamente distaccata dagli originari approcci "pulsionalisti", ovvero legati alle dinamiche intrapsichiche delle pulsioni e della “libido”. Si sviluppano invece versioni "relazionali", orientate alla comprensione delle dinamiche dei cosiddetti “investimenti oggettuali” e della loro articolazione nelle relazioni interpersonali.

 

Il luogo ultimo di origine di tali investimenti e quindi delle motivazioni umane rimane comunque l’”inconscio”, concetto che non ha riscontri in alcuna altra scienza. I molti orientamenti di stampo più relazionale nati dalla iniziale psicoanalisi, non hanno rinunciato ai pilastri teorici della “libido”, del “determinismo psichico” o del “transfert”, e soprattutto dell’”inconscio”. Questi sono indicati, in campo clinico, come psicoterapie “psicoanalitiche”. Altri trattamenti o orientamenti vengono invece chiamati “psicodinamici” o psicoanalitici, anche se poco hanno a che vedere con le suddette basi teoriche.

 

“Psicoanalisi” è considerata la dicitura corretta, volendo alcuni riservare il termine Psicanalisi (senza la "o") solo alla psicoanalisi di orientamento Lacaniano.


 

 

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