Il Modello Cognitivo ABC
E’ difficile definire il modello cognitivo in psicologia
clinica in quanto non esiste un unico modello cognitivo sia
riguardo alla teoria che alla terapia. Piuttosto, negli ultimi
20 anni c’è stata una proliferazione di prospettive teoriche e
di trattamenti, alcuni specifici per alcuni disturbi, altri
riguardanti l’intero comportamento umano, le quali hanno
assunto la definizione e l’etichetta di “cognitivo”.
E’ forse più utile indicare l’idea di base che sta dietro ai
vari modelli nella psicologia clinica. Può essere usato il
noto esempio di un soggetto che è steso nel suo letto, è sera,
e sente dei rumori provenienti più o meno dal punto della casa
dove c’è la porta d’ingresso. Se egli crede che sta per essere
derubato dai ladri i quali stanno per entrare in casa egli
sarà spaventato e probabilmente cercherà aiuto per telefono.
Se, invece, pensa che è suo figlio che rincasa tardi sarà
forse irritato e si preparerà un argomento per il rimprovero.
E così via. Il punto centrale di questo esempio e che ogni
risposta è mediata da un ragionamento, quindi dal pensiero, da
immagini, e da credenze. Questa caratteristica è comune a
tutti i modelli cognitivi ed ai relativi trattamenti clinici.
Per definire ulteriormente questo punto è utile far
riferimento allo schema ABC di Ellis (1962, 1994; De
Silvestri, 1981). L’ABC può essere immaginato come uno schema
a tre colonne (A, B, e C appunto) dove ciascuna identifica uno
specifico contenuto. A indica gli Antecedenti, gli avvenimenti
e gli eventi fattuali; si usa dire che l’A riguarda i fatti
come li vedrebbe una telecamera (con tutte le debite riserve).
In questa colonna vi sono gli antecedenti ed eventi che
fungono da stimoli per il soggetto. Il B indica le credenze,
il pensiero, i ragionamenti, le attività mentali che
riguardano gli antecedenti. Il C sta per Conseguenze di natura
emotiva e comportamentale; in questa colonna indichiamo le
reazioni emotive, i sentimenti, i comportamenti che seguono
ciò che accade in B, dato un certo A.
Lo schema ABC è relativamente semplice, e quindi anche la sua
applicazione pratica nel trattamento è anch’essa relativamente
agevole. Tale schema guida la terapia cognitiva, ed in base a
tale schema può essere concretamente attuata una valutazione,
una formulazione, una pianificazione e concettualizzazione del
problema psicologico, ed un trattamento.
Alcuni autori hanno insistito sul fatto che i B causano i C,
che le valutazioni soggettive e le credenze del soggetto
determinino le emozioni e le conseguenze comportamentali,
altri autori, d’altra parte, hanno sottolineato il tipico
processo circolare che esiste tra pensiero ed emozione, in
quanto l’uno innesca l’altro; altri ancora hanno puntualizzato
il carattere unico di questi processi in quanto i soggetti
hanno esperienza di essi come un tutt’uno. In sintesi, può
essere affermata la intensa forza delle credenze e delle
nostre valutazioni nell’innescare le diverse emozioni,
ciascuna di esse relativamente alla specifica area o scopo di
base rilevante per l’individuo in un dato momento (vedremo più
avanti).
Il merito del modello ABC è di separare in modo preciso
aspetti diversi della nostra esperienza in modo utile e
pratico, ma non per questo superficiale.
Una necessaria chiarificazione riguarda il contenuto di B. La
colonna centrale include le seguenti attività mentali:
immagini, inferenze, valutazioni, assunzioni disfunzionali
(credenze di base ed errori cognitivi).
Le immagini, spesso trascurare da molti trattamenti,
meritano di essere prese in considerazione più concretamente.
Se un individuo che è molto ansioso di parlare in pubblico e
sta contemplativamente pensando ad un evento esagerato o
estremo avrà dunque una immagine di sé corrispondente,
vedendosi ad esempio, al centro di un palco. Le immagini sono
utili spesso quando gli individui fanno fatica ad esprimere
verbalmente i contenuti del B, i quali contenuti tuttavia
meritano di essere comunque esplorati.
Le inferenze sono ipotesi che possono essere vere o
false - a lui non piaccio, fallirò, questo tavolo è stato
fatto in fretta, la gente mi sta spiando. Le inferenze tendono
ad essere improvvise - Beck le definisce “pensiero automatico”
- e spesso si manifestano in una forma verbale molto ridotta o
“telegrafica” (mi odia, bastardo, ecco ci siamo di nuovo, ora
accade tutto). Le inferenze sono predizioni o ipotesi su ciò
che sta accadendo, o succederà o è accaduto. Tutte le
inferenze vanno oltre l’evidenza dei fatti (Girotto, 1994;
Johnson-Laird, 1991). Un modo per fare una inferenza è
attraverso il significato di una attribuzione di causa. La
gente che sbaglia una prova può attribuire ciò a qualche fatto
interno a sé stessi (ad esempio incapacità) o a qualche fatto
esterno riguardante qualche persona o caratteristica della
situazione (ad esempio, un esame difficile). Questa
attribuzione può essere fatta una volta soltanto che un fatto
accade (attribuzione temporanea) oppure può essere fatta
sempre (attribuzione stabile). Le attribuzioni possono essere
riguardo uno specifico deficit in qualcosa, ad esempio, in un
esame in matematica (attribuzione specifica) oppure può essere
formulata riguardo un fallimento generale (attribuzione
globale). Alcuni autori (Seligman, 1990) hanno identificato
che la depressione può essere causata da uno stile
attribuzionale negativo, che contiene attribuzioni negative
interne, stabili, e globali (“ho fallito, è colpa mia, non
solo in questo caso ma in tutto, ed è sempre così”). Beck
(1976) ha dimostrato come nei problemi clinici le inferenze,
sotto la forma di anticipazioni e collegamenti mentali,
tendono ad essere distorte, o errate, a causa dell’influenza
dell’umore. Egli identifica alcuni principali errori:
Pensiero dicotomico:: le cose sono viste in termini di
categorie mutualmente escludentisi senza gradi intermedi. Ad
esempio, una situazione o è un successo oppure è un
fallimento; se una situazione non è proprio perfetta allora è
un completo fallimento. (“o tutto o nulla”).
Ipergeneralizzazione:: uno specifico evento è visto
come essere caratteristica di vita in generale piuttosto che
come essere un evento tra tanti. Ad esempio, concludere che se
qualcuno ha mostrato un atteggiamento sconsiderato in una
occasione, non considera poi le altre situazioni in cui ha
avuto atteggiamenti più opportuni. (“di tutta l’erba un
fascio”).
Astrazione selettiva:: Un aspetto di una situazione
complessa è il focus dell’attenzione, a altri aspetti
rilevanti della situazione sono ignorati. Ad esempio,
focalizzare un commento negativo in un giudizio sul proprio
lavoro trascurando altri commenti positivi. (“bicchiere mezzo
vuoto”).
Squalificare il lato positivo:: le esperienze positive
che sono in contrasto con la visione negativa sono trascurate
sostenendo che non contano. Ad esempio, non credere ai
commenti positivi degli amici e colleghi dubitando che dicano
ciò solo per gentilezza. (“ciò non conta nulla, conta di più
... “).
Lettura del pensiero:: le persone sostengono che altri
individui stanno reagendo negativamente senza alcuna prova
evidente di ciò che affermano. Ad esempio, affermare di sapere
che l’altro pensa di sé negativamente anche contro la
rassicurazione di quest’ultimo. (“ti ho già capito”).
Riferimento al destino:: l’individuo reagisce come se
le proprie aspettative negative sugli eventi futuri siano
fatti stabiliti. Ad esempio, il pensare che qualcuno lo
abbandonerà e che lo sa già, e agire come se ciò fosse vero.
(“lo so già”).
Catastrofizzare:: gli eventi negativi che possono
capitare sono trattati come intollerabili catastrofi piuttosto
che essere visti nella giusta prospettiva. Ad esempio, il
disperarsi dopo un brutta figura come se fosse una catastrofe
terribile e non come una situazione semplicemente imbarazzante
e spiacevole. (“è terribile se...).
Minimizzazione:: le esperienze e le situazioni positive
sono trattate come reali ma insignificanti. Ad esempio, il
pensare che in una cosa si è positivi ma che essa non conta in
confronto ad un’altra più importante. (“niente conta veramente
di quello che faccio”).
Ragionamento emotivo:: considerare le reazioni emotive
come reazioni strettamente attendibili della situazione reale.
Ad esempio, decidere che siccome ci si sente sfiduciati, la
situazione è senza speranza. (“se mi sento così allora è
vero”).
Doverizzazioni::l’uso di “dovrei”, “devo”, “bisogna”,
si deve”, ecc... per assicurare la necessaria motivazione e
controllo al comportamento. Ad esempio, il pensare che un
amico deve stimarci, perchè bisogna stimare gli amici. (“devo
...”, “si dovrebbe ...”, “gli altri devono ...”).
Etichettamento:: attaccare una etichetta globale a
qualcuno piuttosto che riferirsi a specifici eventi o azioni.
Ad esempio, il pensare che si è un fallimento piuttosto che si
è inadatti a fare una certa cosa. (“è un .....”).
Personalizzazione: assumere che uno è la causa di un
particolare evento quando nei fatti, sono responsabili altri
fattori. Ad esempio, considerare che una momentanea assenza di
amicizie è il riflesso della propria inadeguatezza piuttosto
che un caso. (“è colpa mia se...”).
Tali errori cognitivi non sono né gli unici né esclusivi del
contesto della pratica del trattamento cognitivo, infatti la
psicologia generale contemporanea ha evidenziato come la
“macchina mentale” è spesso soggetta a distorsioni ed errori
sia dovuti ad errori naturali “dello strumento” sia dovuti
alla interferenza di scopi sulle conoscenze, dei desideri
sulle credenze. Una impressionante mole di ricerche hanno
dimostrato che il ragionamento e le inferenze possono essere
fallaci soprattutto in condizioni di incertezza, che è la
condizione naturale dove si misura la nostra razionalità (Tversky,
Kahneman, 1974, Kahneman, Slovic, Tversky, 1982; Mancini,
1996; Boudon, 1994; Piattelli Palmarini, 1994; Girotto, 1994;
Miceli, Castelfranchi, 1995).
Una valutazione può essere definita come un giudizio
(buono-cattivo), o una preferenza (ad esempio, “preferisco
Sandra a Maria”, “preferisco Van Gogh a Klee”, “Luigi ha fatto
una cosa cattiva”, “non mi piace quello che dici”, ...). E’
molto utile separare bene le valutazioni dalle inferenze, i
giudizi dalle descrizioni e dalle anticipazioni. Spesso,
giudizi estremi, stabili e negativi determinano problemi
emotivi e comportamentali. Di una certa importanza può essere
la differenza, all’interno delle valutazioni e giudizi, di tre
tipi di giudizio, riguardo a “chi giudica chi”: Altro giudica
Se, quando qualcuno sta facendo una valutazione sul soggetto;
Se giudica Se, quando il soggetto stesso si giudica; e Se
giudica Altro, quando il soggetto giudica e valuta qualcun
altro. Il punto chiave è che il giudizio buono o negativo non
riguarda una parte del comportamento (il che potrebbe essere
un utile suggerimento) ma l’intera persona.
Prestare attenzione alle valutazioni che gli individui
effettuano è un compito non solo terapeutico ma anche
preventivo. Tali informazioni possono segnalare sia la
direzione degli scopi dell’individuo (Altri verso se, Sé verso
sé, sé verso altri) sia le aree problematiche del soggetto.:
non sentirsi amato, paura del fallimento, sentirsi inferiore,
sentirsi negativo e colpevole, sentirsi debole.
Le assunzioni disfunzionali (Beck, 1976; Beck et
al.,1985, 1990) sono regole e principi fondamentali che
guidano il comportamento, e che hanno probabilmente le loro
origini nelle esperienze di crescita; questi elementi sono
perciò impliciti ma possono essere dedotti dal comportamento
interpersonale dell’individuo. Ad esempio, F. di 42 anni,
depressa da qualche anno aveva cercato nel corso della propria
vita di non dispiacere mai agli altri, di cercare di evitare
il disaccordo con le persone, ed in questo processo era
fortemente soggiogata dai suoi stessi sentimenti e desideri.
In quelle occasioni, quando inferiva che poteva aver
dispiaciuto qualcuno si sentiva vuota e disperata, e credeva
che sarebbe rimasta sola ed abbandonata, credeva di essere una
non-persona. Le sue assunzioni disfunzionali potrebbero essere
caratterizzate come segue: per essere una persona completa
devo avere gli altri intorno a me. Da questo segue che F. non
rischiava mai di contraddire o avere un contrasto con
qualcuno, per paura di essere rifiutata. Come parte del lavoro
nel trattamento psicologico cognitivo F. fu in grado di
collegare tale regola alla sua prima infanzia, ed in
particolare quando si sentiva vuota e disperata dopo che i
suoi genitori l’avevano punita (il che accadeva spesso) e come
lentamente aveva scoperto che prendendosi cura di loro
otteneva un contatto affettivo, e ciò le capitava sempre più
spesso anche con gli altri; così iniziò a farlo per evitare di
riprovare quelle “terribili emozioni”.
I soggetti sono solitamente consci delle loro inferenze (cioè
dei contenuti di esse). Questa consapevolezza può manifestarsi
un forma verbale, come delle frasi, o possono aversi anche
delle immagini o frammenti di esse, oppure possono come udire
delle frasi, ad esempio di tipo imperativo, come regole o
comandi. I soggetti sono meno consapevoli delle loro
valutazioni, e solo raramente sono consapevoli delle
assunzioni disfunzionali.
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