Discutere
e testare le valutazioni
Nella REBT
sono descritte varie tipologie di valutazioni (De Silvestri,
1981a), solo alcune delle quali producano forti stress emotivi
e richiedono quindi una potente critica. A scopo
esemplificativo consideriamo il processo in relazione alle
valutazioni personali negative, la tipologia forse più
frequente, sebbene il metodo sia identico per gli altri tipi
di valutazione.
Ci sono tre
stadi principali nella critica delle valutazioni personali, ed
ognuno di essi richiede una certa quantità sia di discussione
sia di verifica empirica che di lavoro esperenziale. Primo, il
terapista chiarisce che la valutazione della persona è infatti
globale e stabile, e lavora su tale questione e cerca di
confutarla. Lo scopo è di incoraggiare il soggetto a valutare
solo il comportamento, ed evitare i giudizi globali sulla
persona, “come se le persone fossero tutte in un modo o tutte
in un altro”. Il principio di questo tipo di critica è:
“valuta il comportamento, non la persona”; ad esempio,
comportandosi in modo sbagliato (quando eventualmente lo ha
fatto) questo non significa “essere sbagliato”. Parte di
questo processo comporta il cercare le evidenze, e parte
cercare metodi di insight ed auto-osservazione, e si pone come
obiettivo di evidenziare l’impossibilità di chiunque di essere
totalmente e per sempre qualcosa, e secondariamente, di
focalizzare dove è l’origine di valutazioni negative personali
così stressanti. Un aspetto importante nella ricerca di
evidenze di una valutazione “Sé-Sé” è che spesso il paziente
crede che anche le altre persone lo valutino allo stesso modo
come lui fa (abbiamo già affrontato il modo di criticare
praticamente tale assunto). Un altro esempio di interessante
deficit di evidenza il paziente lo può manifestare riguardo le
cognizioni concernenti il proprio umore. Ad esempio, se egli
dice che è depresso, e per questa ragione non vale niente,
perché secondo il soggetto, se fosse stato OK non si sarebbe
sentito depresso (questo è ciò che D.Burns (1980) chiama
“ragionamento emotivo”). Le emozioni non possono essere usate
come evidenza di nulla, salvo che, per una verità autoevidente,
per riferire che il soggetto ha una tale emozione. Il paziente
può anche ricordare che l’emozione è una conseguenza delle
proprie credenze, non la causa.
Il secondo
aspetto della critica delle valutazioni è quello in cui il
terapista espone una regola implicita, una assunzione
disfunzionale, che guida un processo autovalutativo (come
abbiamo visto precedentemente); ad esempio, la assunzione del
tipo “valgo se ho successo, rispetto, o sono amato”. Il
paziente ed il terapista lavorano insieme per formulare,
chiarire, ed esplorare i suoi aspetti sulle relazioni
interpersonali, per tracciare le sue origini, e per valutare
se essa sia coerente con altre informazioni e conoscenze che
il paziente ha appreso su sé e sugli altri.
Infine il
paziente ed il terapista possono pianificare uno specifico
tipo di test, sviluppato da Ellis e comune nella REBT,
chiamato “shame-attacking” (esercizio anti-vergogna). La
vergogna è una delle principali conseguenze di una
autovalutazione globale di stupidità, inadeguatezza,
inutilità, mancanza di valore, e così via. Questo esercizio è
differente dal “risk-taking” in quanto non si chiede al
soggetto di fare qualcosa per dimostrare che è capace a farlo,
ad esempio, che è capace di fronteggiare qualche situazione
difficile o acquisire qualcos’altro, per avere l’approvazione
o il rispetto di qualcuno. L’idea è, invece, che il paziente
intenzionalmente pianifica un fallimento un errore, e non
certamente per avere approvazione o rispetto, ma per ricercare
una brutta figura, in modo tale che possa riconoscere,
emotivamente e intellettualmente, che egli può comunque
sopravvivere a tali stimoli temuti e minacciosi indirizzati
alla propria immagine (sia immagine sociale che autoimmagine,
(De Silvestri, 1981a, 1981b; Castelfranchi, 1989; Miceli,
Castelfranchi, 1992)), e che non ha alcun bisogno di vivere
nella continua paura di essi. Il punto dell’esercizio è
proprio la critica della assunzione disfunzionale generale che
sottostà ad una valutazione globale personale - che le persone
hanno valore solo se hanno successo, se sono amate, ecc..
Invece, il soggetto conferma e si confronta con la opposta
convinzione, cioè che una persona ha valore anche se si
comporta in modo sbagliato, non OK; e ciò semplicemente perché
gli esseri umani sono fallibili. L’esercizio di
“shame-attacking” ha bisogno di essere programmato con cura
sia nei modi sia nei tempi, ma offre al soggetto una
assicurazione emotiva potenziale più grande rispetto al
“risk-taking” in quanto il paziente si confronta con le paure
più direttamente.
Pianificare
gli homeworks, i compiti a casa, può essere una utile aggiunta
alla seduta di terapia. Tutti i processi descritti possono
essere organizzati in modo collaborativo con il paziente in
forma di esercizi.
Nella
prescrizione dei compiti, deve essere per prima cosa tenuta
presente la peculiare convinzione del paziente (disfunzionale),
e la convinzione alternativa; inoltre, bisogna decidere se un
compito è davvero un test per una certa credenza, e se è
maneggevole e sicuro per il paziente; infine, organizzare la
esecuzione dei compiti in una data precisa, e che sian5o
possibilmente discussi nella seduta successiva.
Solitamente,
si usano gli homeworks con la maggior parte dei pazienti, ma
alcune volte ciò non è possibile. Comunque, bisogna
puntualizzare che raramente delle convinzioni vengono
modificate con il lavoro intellettuale usato da solo, e che è
utile il lavoro prativo dei compiti per avere informazioni e
prove per testare le inferenze e le convinzioni disfunzionali,
in quanto in tal modo si coinvolgono sia l’attivazione delle
emozioni sia il comportamento reale del soggetto.
L’ideale è
che il paziente sia sinceramente motivato sia nel lavoro
intellettuale che negli esercizi e nelle prove pratiche.
|