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"Xanax", ansiolitici
e altri affanni |
Se molti pensano che dire ansia,
significhi dire un certo tipo di compresse, o gocce, in una
certa quantità e per un determinato periodo, allora, a mio
modestissimo parere, sono in errore.
Purtroppo l'intervento elettivo (ed anche il modo) è spesso
questo. Ho assistito molte volte alle facili prescrizioni di
psicofarmaci, solitamente dopo le prime battute che
spiegavano:<< Dottore, mi sento così... e poi così... anche in
questo modo... e ho difficoltà ad addormentarmi... poi mi
sveglio spesso e...>>. Da lì a breve era pronta la formula:
<<30 gocce, 3 volte al dì per un mese e mezzo!>> Grottesco...
ma vero! E la persona? Il rispetto della persona e del suo
disagio, dov'è finito? Veramente si crede che un problema
serio come quello di un disturbo d'ansia si possa risolvere
esclusivamente con “pillole e supposte”? Veramente si può
credere che curo “Tizio” nello stesso modo che ho curato “Caio
e Sempronio”? e si perché <<se è andata bene per loro, andrà
altrettanto bene per quest'ennesimo paziente!!!>>. Forse è per
questo che nella maggior parte dei casi il paziente ha trovato
soltanto un sollievo al sintomo (molto momentaneo) e quasi mai
un rimedio?! Un problema psicologico (mi piace di più dire
emotivo), causa della manifestazione sintomatica non credo
troverà mai soluzioni in una pillola... mi piace pensare che
un ansiolitico sia spesso soltanto un ammortizzatore, un
cuscino tra la coscienza del paziente e la realtà dei fatti...
quell'insieme di situazioni che la vita ci porta
quotidianamente e che chiede a noi di essere fronteggiate nel
modo migliore. Un problema psicologico vuole rimedi
“psicologici”.
Una pillola annebbia la coscienza facendo vedere tutto in modo
più “soft” ! Ma quanto può durare? per quanto si può
continuare ad assumere il farmaco? Si starà meglio solo finché
lo si assumerà?! e dopo? Forse nel frattempo i problemi che
hanno fatto manifestare i sintomi si risolveranno da sé! ...o,
forse no...!
Indubbiamente quando un paziente lamenta seri sintomi d'ansia
avrà di conseguenza uno squilibrio di secrezione di alcuni
neurotrasmettitori, sicuramente un farmaco può -chimicamente-
riequilibrare, in un certo modo, un certo ordine, ma quello
che qui mi chiedo è: cosa è venuto prima: lo squilibrio, o
“l'ansia”? Un po' come il dilemma dell'uovo e della gallina...
Ma ancora: se è venuto prima lo "squilibrio" e poi la
-manifestazione- ansiosa (questo come è più logico pensare)
perché lo squilibrio? come mai proprio in un preciso periodo
della mia vita... mentre accadevano particolari fatti? Se c'è
una logica a spiegare il perché di una depressione dopo un
lutto, allora ci dovrebbe essere anche una logica per spiegare
perché l'ansia prima di un esame? ... o forse è soltanto un
puro caso che determinate situazioni diano la possibilità di
assistere alla manifestazione di ben precisi sintomi (o
disagi, o fastidi... o espressioni cliniche)? Allora, se tanto
mi da tanto, cosa viene prima: “l'uovo o la gallina:”? ...lo
squilibrio o la manifestazione di sintomi d'ansia?
Semplicemente la spiegazione è che davanti ad eventi precisi
il nostro corpo, unità inscindibile con la mente, si prepara a
fronteggiare l'evento stesso attivando a livello encefalico
aree e strutture che permettono il fronteggiamento (o la
fuga). Un uomo che nella foresta vede un grosso orso che lo
sta per assalire probabilmente... naturalmente, avvertirà il
suo battito cardiaco accelerare, i muscoli irrigidirsi, lo
sguardo e l'attenzione saranno diretti verso il pericolo...
sarà questo stato di tensione che farà si che l'uomo adotti
tutte quelle accortezze necessarie per fronteggiare la belva e
proteggersene.
A questo punto credo sia utile, in una prospettiva
cognitivo-comportamentale, dire che sicuramente tra l' orso e
“l'ansia” corre di mezzo il pensiero dell'uomo. Il grado di
ansia, così come il comportamento tenuto dall'uomo stesso, è
la conseguenza diretta dei pensieri che vengono fatti;
sicuramente se l'uomo pensasse che quell'orso sia soltanto un
innocuo, dolcissimo, pelùche giocherellone, non avrebbe
adottato nessuna condotta di protezione, ne tantomeno avrebbe
avvertito sintomi d'ansia. Se al contrario il pensiero sarebbe
stato quello di avere di fronte un ferocissimo animale a cui
in nessun modo si potrà sfuggire e che oramai nulla potrà
difenderlo da quegli artigli e da quelle zanne, allora l'uomo,
certamente sarebbe invaso da quella violenta manifestazione
ansiosa chiamata - attacco di panico - e che in pochi attimi
immobilizza e smorza il respiro. Se l'animale fosse pensato
come feroce e pericoloso, ma si pensasse anche che proprie
particolari attenzioni e mirate strategie possono permettere
la difesa, allora l'uomo avrebbe, si sintomi ansiosi, ma in
misura normale e necessaria per mantenere attenta ed efficace
la difensiva senza lasciarsi bloccare (e far trasformare,
così, la propria ansia in paura). Il pensiero ha definito la
pericolosità della situazione, le nostre sensazioni fisiche e
quelle psicologiche. Il pensiero, non l'orso.
Quindi, tornando al farmaco ansiolitico, cosa avrebbe potuto
fare in una situazione ansiogena di questo tipo? Forse avrebbe
mantenuto calmo e rilassato l'uomo davanti al pericolo,
davanti all'animale, ma sicuramente, non gli avrebbe risolto
il suo problema, anzi, forse, glielo avrebbe fatto
sottovalutare.
Soggetti particolarmente ansiosi possono trovare nel farmaco
un attutitore momentaneo dei sintomi, ma questo è sicuramente
l'unico beneficio. Se è vero che l'ansia viene generata come
conseguenza del “pensiero”, è altrettanto vero che nessuna
sostanza chimica riuscirà a cambiare stabilmente i contenuti
del pensiero stesso, e soprattutto gli schemi personali che li
sottendono... un ansiolitico potrà al massimo momentaneamente
annebbiarli alla coscienza.
Si dice spesso che un farmaco - è efficace contro i sintomi-
di (...) facciamo attenzione : in questo dire non c'è niente
di più vero (soprattutto quando si parla di disturbi d'ansia);
nel senso che il farmaco è utile ed indicato sul sintomo... ma
sottolineamo, quindi, come non agirà mai sulle cause...
pertanto la sua utilità potrà essere soltanto a breve termine
ed esclusivamente sull'espressione sintomatologica dell'ansia.
In ultima battuta indico che l'ansiolitico deve essere visto
dal suo ”consumatore” solo come un aiuto. Esasperando direi:
vederlo un po' come può essere vista una camomilla nei casi in
cui ci sentiamo “agitati” ... riconosceremo in questa le sue
potenzialità sedative e “tranquillanti”, ma non attenderemo
certo da questa tisana la soluzione ai nostri problemi che,
filtrati dai nostri pensieri, ci fanno sentire in quello
stato. Un ansiolitico per come è fatto e per come funziona,
addormenta “i problemi:”, ma non li può curare.
Tuttavia è anche giusto dire che, in alcuni gravi casi, un
ansiolitico può essere utile nella risoluzione dei disturbi
d'ansia, ma soltanto se questo viene usato come integrazione
ad un lavoro psicoterapico; infatti sotto lo stato di "calma"
ottenuto -chimicamente- può iniziare un lavoro di
collaborazione tra il terapeuta e il paziente. Il paziente
ottenuto, con l'aiuto di un buon farmaco, quello stato di
pseudotranquillità rispetto alle minacce temute, può ascoltare
le indicazioni dello specialista e più facilmente metterli in
pratica. Controllando chimicamente le manifestazioni
sintomatiche, il paziente viene aiutato nel lavoro di
comprensione del suo disagio e messo in grado di focalizzare
quelle cause che lo sottendono e le strategie per risolverle.
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Direttore: Dott. Pierpaolo Casto
- Psicologo - Via Mazzini, 76
73042 CASARANO (Le) Tel.
328. 9197451 |
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